mercoledì 26 luglio 2017

BACIAMI SENZA RETE

Titolo: Baciami senza rete
Autore: Paolo Crepet
Editore: Mondadori
Anno: 2016
Pagine: 170
Prezzo: 18,50 €

Questa è la prima recensione che scrivo senza prima aver terminato il libro, perché in realtà più che una recensione ho bisogno di condividere il pensiero dello scrittore, Paolo Crepet, con cui ancora una volta sono d'accordo al cento per cento.
Nel suo "Baciami senza rete" Crepet ci parla del problema della comunicazione, dello svago, dell'amore nell'epoca di digitalizzazione che stiamo vivendo.
Attenzione, non voglio, proprio come il sociologo italiano, attaccare o demonizzare la tecnologia. La uso per il blog, per cercare notizie, idee di arredo, come navigatore. Ma sono spaventata dal modo in cui la rete sta trasformando le persone, le sta letteralmente intrappolando. Crepet è molto bravo ad analizzare come la società si stia modificando e ce ne parla nei suoi capitoli senza accusare nessuno, ma facendoci rendere conto che se non si cambia qualcosa avremo generazioni sempre più stanche e superficiali, senza la curiosità di scoprire il mondo con i propri occhi. Avendo a che fare con le scuole ci riporta esempi di alunni e professori che incontra e mi rattrista leggere le condizioni si scolarizzazione e insegnamento attuali.
E inevitabilmente penso a quanto sono contenta di essere nata in anni in cui la tecnologia non era ovunque. Iniziava sì ad essere presente nelle aule o a casa, ma a una foto di un piatto preferivo gustarmelo; a quella di un tramonto preferivo vederlo; a un concerto guardavo da una parte all'altra del palco e cantavo e il giorno dopo sapevo cosa avevo visto. A pensarci adesso sono contenta anche di aver dovuto aspettare per più di un anno il mio primo cellulare da quando l'avevo richiesto. E il sabato pomeriggio, in centro con le amiche, mica si sapeva se quel determinato scooter con la targa che finiva con Z sarebbe passato, si sperava. Si aspettava.
Proprio in questo giorni pensavo a quando ero piccola e in estate, dopo cena, ci si trovava davanti a casa alle nove in punto con gli amici che abitavano vicini, poi verso le dieci e mezza tutti a casa e guai a chi tardava.
Si aspettava l'arrivo degli altri e se quella sera non usciva nessuno pazienza, si rientrava. Di giorno facevo i compiti, guardavo i cartoni, giocavo a fare la cameriera o (pensa te) l'impiegata, cantavo, scrivevo racconti, ritagliavo foto di città dicendo che un giorno ci sarei andata. Perché mi piaceva vedere foto sui giornali, o le prime pagine di Internet, ma le volevo vedere con i miei occhi. Ho visto migliaia di film ambientati a New York, ma non per questo mi ritengo soddisfatta, la voglio vivere.
Oggi la mia paura è che i ragazzi, e i bambini, non vivano più le sensazioni che provano.
Anche andare al ristorante è per me fonte di angoscia perché non mi piace per niente vedere famiglie che, sedute a tavola, non scambiano una parola perché tutte le teste sono chine su cellulari e tablet e tutti sono impegnati a far scorrere i loro pollici su link e foto. Non si ha più niente da dire? Non si fa più niente durante la giornata che valga la pena di essere raccontato?
Spero di riuscire a far capire a mio figlio che la vita è più bella se viene vista con i nostri occhi, se le cose vengono toccate con tutte e due le mani, se a sera arriviamo a letto stanchi perché abbiamo giocato ore all'aperto.
Spero che riuscirò a fargli capire quanto è bello viaggiare e conoscere gente nuova, ad aver degli amici con i quali ridere e scherzare. E' nato in un'epoca in cui la tecnologia digitale ci sta inglobando ma spero che riuscirà a trovare una sua dimensione in questo mondo pazzo e meraviglioso che non si merita di venire snobbato così, o maltrattato.


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