mercoledì 14 ottobre 2015

EVEREST

Lo sapevo già che non fanno per me il freddo, la fatica fisica, la sofferenza, le condizioni estreme. So già che non sarò tra i più fortunati che potranno vantarsi del proprio coraggio e di aver visto il mondo da un'altra angolazione.
E lo so ancora di più dopo aver visto un film come questo.
"Everest" è un film molto ben fatto che racconta purtroppo una storia realmente accaduta nel 1996 durante una spedizione su una delle vette più alte al mondo.
La spedizione guidata da Rob Hall, un bravissimo Jason Clarke, deve infatti affrontare prove di coraggio, determinazione e forza non comuni guardando anche la morte in faccia.
Ho sentito diverse stroncature del film, ma a me è piaciuto molto.
Cosa importa se gli attori hanno girato le scene a 1.200 metri e non al vero Campo base? In quel caso avrebbero davvero fatto vedere come si vive lì, la fatica anche nel respirare e compagnia bella, è vero. Ma lo avrei capito da sola che se fossero stati sul vero Campo base Jake Gyllenhaal non sarebbe comparso a petto nudo. E probabilmente le tende non sarebbero così stabili e piantate con una bufera in atto.
Ma prima non conoscevo la storia di Rob Hall e sua moglie, mentre ora sì.
Ed è questo che fanno i film e che pretendo dai film: raccontare nel miglior modo possibile una storia e che questa storia mi emozioni.
Questo film mi ha commossa (alla frase "buona notte amore mio" penso di aver dato il meglio...).
Mette in luce le debolezze umane di fronte alla natura ma anche la continua voglia dell'uomo di combatterle e sopraffarle.
Non sempre restiamo al nostro posto, a volte vogliamo diventare leggende, sentirci invincibili. Ma la Natura non perdona e succede che il più delle volte diventiamo i protagonisti di storie e avventure non sempre a lieto fine.
Penso sia comunque un film da vedere. Per tutti gli appassionati di alpinismo ma anche per chi non lo pratica e ascolta le vicende degli scalatori alla tv o le legge nei libri.
Per chi ama l'avventura ma anche per chi vuole solo sentire parlare delle prove di coraggio degli altri. E per chiunque voglia conoscere la storia di Rob e commuoversi, anche se finirà inevitabilmente con il prendersela con il destino.



martedì 29 settembre 2015

WHIPLASH

Ho appena finito di vedere un buon film, una prova di autentico buon cinema.
Di quelli che se anche hai sonno, e sai che se non andrai a letto entro mezz'ora domani non sarai poi così carina, ti fanno stare sveglia e anzi, ti fanno battere il tempo, ti fanno portare le mani davanti alla bocca o commentare a voce alta anche se in casa sei sola.
Ma qui in casa stasera bastavano le note della batteria che nel film Miles Teller suonava per noi.
J.K. Simmons è stato assolutamente fantastico nella sua parte, e ora capisco l'Oscar come miglior attore non protagonista.
La storia parla di Andrew, un giovane studente alla facoltosa scuola di musica Shaffer, che un giorno viene scelto dall'esigente professor Terence Fletcher per entrare nella sua orchestra.
Andrew sogna di diventare un grande musicista e si concentra solo ed esclusivamente sulla musica. Non se la prende se non piace agli altri suoi coetanei, non usa parole dolci con le ragazze che possono solo ostacolarlo nel suo intento di diventare una leggenda, lui segue la sua strada sulla quale trova, però, sempre più difficoltà.
E se alla fine tutto sembra ormai aver preso una certa direzione, ecco che come in una vera canzone jazz, inizia l'improvvisazione.
E il pubblico ammutolisce, rimane in silenzio cercando di non disturbare e cercando di respirare piano per sentire in ogni dettaglio la musica che prende il sopravvento.
E quando capisci che il film è finito ringrazi quella tua amica che ti ha regalato una raccolta di famosi brani jazz perché sai già che domani, ascoltare quel cd, sarà la prima cosa che farai.
Ora non lo fai solo perché i vicini potrebbero avere qualcosa da dire (mentre scrivo sono le 23:45).
I miei complimenti quindi a Simmons, a Miles Teller (anche se ha ancora tanta strada da fare e ha un viso che continua a farmi un po' paura ricordandomi un giovane Freddy Krueger) e al regista Damien Chazelle.
Assolutamente da vedere per chi ama la musica e il jazz, ma anche se non siete appassionati se per una sera volete farvi trasportare da quei ritmi e da quella atmosfera unica che contraddistingue questo genere.




venerdì 28 agosto 2015

ARRIVANO I PAGLIACCI - Chiara Gamberale

Questo è il quarto libro di Chiara Gamberale che leggo e sono rimasta ancora una volta colpita dalla bellezza, dalla tenerezza e dalla straordinarietà della sua scrittura.
Sempre di più questa scrittrice è diventata una di quelle persone che penso sarebbe interessante conoscere, con la quale farei volentieri due chiacchiere davanti a un caffè.
In questo libro la protagonista, Allegra Lunare, trasloca dalla casa in cui ha vissuto i suoi primi vent'anni e decide di lasciare un libro ai signori Godalla che prenderanno il suo posto. Decide, infatti, di scrivere loro i significati di tutto quello che lascerà perché, ci dice, "io lascio quasi tutto". 
Comincia a descrivere la sua infanzia con la mamma americana Patty e suo padre professore, il suo fratellino down Giuliano, le sue zie acquisite Matilde e Adriana che fanno parte di questa particolare famiglia allargata nella quale troveremo anche Zuellen.
Un libro che fa riflettere su quanto gli oggetti che ci circondano parlano di noi, di quanto c'è di noi nelle nostre case. La famiglia di Allegra è sempre messa al primo posto e quando è in difficoltà, e sembra andare alla deriva, Chiara Gamberale ci regala momenti di tenerezza e dolcezza tali che ho rischiato di commuovermi in spiaggia durante la lettura.
La bellissima postfazione di Paolo Di Paolo rende onore alla carriera di Chiara analizzando ogni suo libro e descrivendo la sua scrittura come unica.
Non posso che essere d'accordo e rimanere in attesa di trovare in libreria "Le luci nelle case degli altri", che Di Paolo definisce il più bello, e che vede ancora una volta la famiglia come fulcro del racconto.
"Arrivano i pagliacci" parla d'amore ma anche di sofferenza per la perdita e la lontananza di qualcuno che amiamo. Parla di amicizia, di famiglia, di quei rapporti indissolubili e di quelli che invece lasciamo naufragare.
Ma sempre parla di speranza perché la vita è come il circo: dopo il numero dei trapezisti arriva sempre quello dei pagliacci.



venerdì 21 agosto 2015

SELMA

Non ho mai dovuto lottare nella vita per vedermi riconoscere un diritto, altri si erano battuti per me negli anni scorsi.
Sono nata come cittadina italiana con dei diritti inviolabili, quando sono cresciuta era mio diritto e dovere frequentare la scuola, ho potuto scegliere l'università che volevo. 
Ho sempre potuto votare liberamente, entrare in tutti i locali che volevo o passeggiare in qualsiasi parco. Non riesco, perciò, nemmeno ad immaginare che cosa provassero tutte quelle persone a cui questi diritti erano negati fino al secolo scorso.
Non poter sedere sull'autobus dopo una giornata di lavoro, non poter fare il bagno in piscina, non poter votare e quindi esprimere la propria opinione. Essere costantemente derisi, guardati dall'alto in basso, o forse ignorati come se non esistessero.
Per poter ricordare l'ignoranza che c'era prima, e che purtroppo in alcuni casi c'è ancora, "Selma" è un ottimo film che ci parla della lotta guidata da Martin Luther King per conquistare il diritto al voto della popolazione nera.
E' uno di quei film che mi ricorda perché ho questa passione viscerale e spropositata per il cinema.
"Selma" racchiude fatti violenti e crudeli ripresi direttamente dalle telecamere dei giornalisti di allora che mostrano di come una marcia pacifica della popolazione nera venne brutalmente fermata con manganelli e fruste.
Ci sono state scene in cui mi è stato impossibile non girare la testa dall'altra parte per non guardare ma quelle cose orribili sono successe davvero e non dobbiamo dimenticarle.
Un film lento, efficace, che non vuole ingigantire i fatti ma vuole raccontarli, che vuole evidenziare la grandiosità del trascinatore che è stato Martin Luther King ma che nello stesso tempo ci mostra anche il lato "fragile" dell'uomo che era, le sue perplessità e i dubbi. Un uomo però che non ha avuto paura di chiedere appoggio ai "suoi" che per lui avevano sempre parole di incitamento.
Un film che ha il solo scopo di documentare fatti che fanno e devono far riflettere ancora oggi, quando ancora troppo spesso la frase nei tribunali "la legge è uguale per tutti" strappa solo un sorriso amaro.



sabato 1 agosto 2015

L'AMORE QUANDO C'ERA

In una ventina di minuti la mattina prima di andare al lavoro, finendolo in pausa pranzo, ho letto il mio secondo libro di Chiara Gamberale e devo dire che sono contenta di essermi portata avanti dandole fiducia avendo comprato anche "Arrivano i pagliacci" e "4 etti d'amore, grazie". 
La sua scrittura è piena, divertente e triste a volte nella stessa frase. E' provocatoria. E' un po' malinconica, un po' romantica, ma mai banale.
Chiara Gamberale è audace e fa sì che il lettore si ponga mille domande le quali sembrano essere state create proprio per chi legge in prima persona.
I personaggi sono veri, vicini a quelli come la maggior parte di noi in cui, quindi, ci possiamo facilmente riconoscere.
Ti entra dentro Chiara, come una freccia, come "L'amore quando c'era".
In questo piccolo romanzo troviamo Amanda e Tommaso che non si sentono per dodici anni/dieci anni e mezzo fino a quando, alla morte del padre di lui, Amanda scrive a Tommaso per confortarlo.
Si inizia così un breve e intenso scambio di mail (in fondo ormai stiamo vivendo l'amore ai tempi di YouTube) e di messaggi che porteranno i due protagonisti a rivivere vecchie emozioni, ad aprire vecchie ferite, a sognare con i distruttivi "e se...".
Inevitabilmente il lettore si fa le stesse domande di Amanda e Tommaso sull'amore: è più bello se c'è? E' più bello sognare dell'amore che c'era e che ora non c'è più? I tempi passati, quello che poteva essere ma non è stato, quello che non si è mai realizzato.. in alcuni di noi queste cose si attaccano alla pelle e arrivano strisciando fino ai pensieri, a volte togliendoti il sonno o l'appetito.
Poi a volte torna la calma e le nuvole scompaiono e capisci che se c'era, ma ora non c'è più, qualche ragione ci sarà stata. Insomma un piccolo spunto per qualche riflessione attraverso gli occhi di chi ha vissuto una storia d'amore e deve ora affrontare quello che arriva dopo i sogni: la realtà.


sabato 25 luglio 2015

L'IMPORTANZA DI LEGGERE - Brigada para leer en libertad


Sul numero del Venerdì, inserto di Repubblica, del 17 Luglio ho trovato un articolo molto interessante e ho strappato la pagina in modo da poter, una volta a casa dalle vacanze, approfondire l’argomento.
Ho trovato infatti un’intervista a Paco Taibo II in cui ci parla della sua “Brigada para leer en libertad”. Questa associazione è stata fondata nel 2010 a Città del Messico da lui, sua moglie e altri cinque o sei ex dipendenti del Ministero della cultura del Distrito Federal e ha lo scopo di diffondere la cultura e la lettura. Vengono organizzate manifestazioni, presentazioni, stand e bancarelle, dibattiti e fiere del libro con ospiti internazionali. Grazie a donazioni di privati sono riusciti a creare vere e proprie biblioteche scolastiche e ora anche a pubblicare libri per poi regalarli durante i dibattiti organizzati nei quartieri più sperduti.
Il progetto nasce ovviamente anche, e soprattutto, grazie alle case editrici convinte a non buttare i volumi invenduti e la collaborazione di numerosi scrittori, giornalisti, sociologi.
Il tutto per portare cultura.
Il tutto per migliorare il nostro mondo, perché se tutti leggessimo sarebbe un mondo migliore, di questo sono fermamente convinta.
Un libro ti regala una storia, un personaggio, ti muove la fantasia e quindi ti fornisce argomenti per parlare con le altre persone e condividere le tue sensazioni.
Un libro ti protegge se hai paura spiegandoti quello che non sai.
Un libro ti addormenta se sei stressato, nervoso, aprendo la tua immaginazione e portando i tuoi pensieri lontano da quello che ti fa star male.
Un libro ti fa arrabbiare se leggi di qualcosa o di qualcuno che ha fatto o detto nella storia qualcosa di sbagliato, facendoti prendere una strada diversa nella tua vita da quello che credi sia cattivo.
Un libro ti dona forza se ti parla di persone che, invece, la storia l’hanno cambiata facendo del bene, portando innovazione e benessere.
Un libro ti fa capire che puoi dire la tua, che anche tu hai una voce e che sei parte del mondo.
Ti commuove se ti rivedi nelle pagine che leggi, ti fa scoprire persone meravigliose che vorresti incontrare davvero nella vita reale, ti fa ridere.
Un libro ti fa crescere.
Un libro ti porta su un altro mondo. Può essere per poche pagine al giorno o per intere ore, non importa, quando qualcuno apre un libro è già una vittoria.
L’ignoranza genera violenza. Chi non legge non riesce a vedere oltre a sé stesso, non riesce ad immedesimarsi nel prossimo, non conosce i diversi problemi che esistono. Chi non legge si rinchiude in un mondo che può anche essere calmo e sereno, ma è monocolore.
Chi legge si sente come se stesse salendo e scendendo da più arcobaleni, saltellando e fischiettando.
Scegliamo sempre e comunque di leggere, di documentarci, di studiare, di confrontarci!
Se vogliamo avere una piccola possibilità di migliorare noi stessi e il nostro rapporto con gli altri iniziamo da queste piccole cose che portano a enormi cambiamenti.
Che male c’è nel provare per credere?

Il sito dell’associazione è http://brigadaparaleerenlibertad.com


martedì 21 luglio 2015

HUNGRY HEARTS

Con "Hungry hearts" ho dovuto spegnere la radio in macchina, mentre tornavo a casa dopo la proiezione, per far spazio ai pensieri che con un film così inevitabilmente si creano. Non ricordo dove ho letto l'aggettivo "terrificante" associato a questo film ma ora ho capito cosa voleva dire chi l'ha usato.
Non certo per denigrare la pellicola che, anzi, è davvero molto bella, ma per sottolineare quanto è facile che la nostra vita venga condizionata dalla nostra mente.
I due protagonisti sono Alba Rohrwacher e Adam Driver che interpretano Mina e Jude: due ragazzi che si conoscono nel bagno di un ristorante cinese in una situazione un pò insolita ma che li porterà ugualmente ad avere una storia e a diventare una famiglia, anche grazie all'arrivo di un bambino.
E' da questo momento che la mente di Mina, che comunque non conosciamo ancora e non sappiamo quanto sia mai stata influenzabile nella sua vita, diventa pericolosa per sè stessa e per il bambino.
Dopo che una cartomante le dice che il suo sarà un bambino indaco, cioè con particolari doti o poteri, Mina si convince che il mondo esterno è troppo sporco per suo figlio e cerca in tutti i modi di tenerlo lontano dal cibo non naturale, dal sole, non lo porta mai fuori trattenendolo tra le mura di casa, creando al neonato problemi di crescita e di nutrizione.
Jude cercherà in tutti i modi di superare questa situazione insieme, come una vera famiglia, ma Mina lo porterà a dover fare scelte forti e sì, forse doverose, ma comunque da cui poi non si torna indietro.
Gli attori oltre ai due protagonisti sono pochissimi, così come le ambientazioni. La telecamera di Saverio Costanzo tende a inquadrare Mina e Jude come se li spiassimo dallo spioncino della porta di casa, come per sottolineare il fatto che quello che stiamo guardando è un mondo a parte che Mina sta costruendo da sola per lei e suo figlio. 
Nessuno di noi è invitato ad entrare, possiamo solo guardare da lontano alcuni momenti della loro vita.
"Hungry hearts" mi ha ricordato un altro bellissimo film il cui tema centrale era quello della maternità e a quello a cui ti può portare: "Quando la notte" di Cristina Comencini con Claudia Pandolfi e Filippo Timi.
Diamo sempre tutto per scontato, troppo: il bimbo piange/la mamma si sveglia, il bimbo ha fame/la mamma allatta. E alla donna non ci pensa più nessuno, tutti guardano e pretendono dalla mamma mentre non è assolutamente da sottovalutare quanto la maternità può allontanarti dalla realtà.
Mina fa tutto questo per uno sconsiderato amore, ma malato e non curato.
E questi problemi esistono davvero.
Non è forse uno di quei film di cui comprerei il dvd per rivederlo un centinaio di volte, ma è uno di quei film che, visti una volta, te li ricordi per sempre.



domenica 22 febbraio 2015

"La teoria del tutto"

Sono contenta di essere andata a vedere "La teoria del tutto" e sono contenta di averlo visto in lingua originale. Ovviamente sono stata felice anche di aver visto comparire i sottotitoli perché altrimenti sarebbe stato difficoltoso in alcuni punti del film capire bene quello che veniva detto, ma almeno posso dire di capire l'eventuale vincita di Eddie Redmayne questa sera, perché la sua interpretazione è stata davvero straordinaria.
E' un film che mi ha fatto venire voglia di farmi tutto il tragitto di mezz'ora fino a casa con la musica spenta per dar spazio a tutti i pensieri che affollavano la mia mente.
Penso che sia uno di quei film che tutti dovrebbero vedere.
Chi conosce o studia le teorie e i libri di Stephen Hawking, e lo segue come scienziato, perché è interessante scoprire le vite delle menti geniali su cui veniamo istruiti e su cui prendiamo voti agli esami.
Chi ha poca fiducia in sé stesso può provare per un solo secondo a pensare a quello che ha fatto una persona così e davvero ci si può rendere conto che il segreto è tutto nella volontà. Da questo film si può anche capire bene la frase "dietro a un grande uomo c'è sempre una grande donna" perché ci si chiede quanta di quella genialità sarebbe emersa se lui non avesse avuto una donna come sua moglie al suo fianco: innamorata, forte, intelligente, sincera, caparbia.
Chi è abituato a giudicare gli altri dovrebbe vederlo perché, di fronte a certi comportamenti non convenzionali, dovrebbe chiedersi se avrebbe fatto qualcosa di diverso trovandosi nei loro panni.
Per due ore ci dimentichiamo degli stereotipi da cui siamo bombardati da mattino a sera, ci dimentichiamo di aggettivi come "cool" o "glam" ma pensiamo semplicemente alla profondità dell'amore e della dedizione, e a quanto potere è racchiuso nella nostra mente, a quanto poco conta l'aspetto esteriore per poter vivere una vita fuori dagli schemi.
A quanto non sia fondamentale camminare quando hai un cervello in grado di correre.
Mi era venuta voglia di coricarmi a guardare le stelle e sapere tutto dell'universo, del cielo. E mi è venuto in mente che forse l'universo si prende gioco di noi cercando di mettere i bastoni tra le ruote alle menti troppo geniali che potrebbero capire e svelare i suoi segreti.
Forse l'universo è un qualcosa di femminile, che quindi se la tira, e che mette alla prova tutti quelli che le si avvicinano ma che in realtà sta solo aspettando che qualcuno la capisca.
Non c'è bisogno di altre parole. Amo i buoni film che si ispirano a persone vere e per lo più straordinarie, e questo è un buon film: emozionante e coinvolgente.



sabato 17 gennaio 2015

The imitation game

Si rimane incantati dal genio di alcune menti che hanno contribuito a rendere il mondo migliore, o che almeno ci hanno provato, mentre si rimane inorriditi dalla stupidità di altre. 
Ci sono tanti di quegli esempi nella storia di veri e propri talenti che in vita sono stati derisi, maltrattati, usati per poi celebrarne l'eccellenza solo dopo la loro morte.
Nel caso di Alan Turing solo dopo molti anni dalla sua morte abbiamo potuto conoscere a fondo la sua storia e abbiamo potuto togliere quella macchia che sporcava il suo nome: l'omosessualità.
"The imitation game" parla, infatti, di Alan Turing, un brillante matematico che durante la seconda guerra mondiale si unisce a un gruppo di statisti e scienziati per decriptare il codice Enigma, utilizzato dai tedeschi. Da sempre considerato impossibile da decodificare, Enigma viene in realtà decifrato dalla squadra di Turing che si ritroverà davanti a un tragico bivio: confermare che il codice più segreto al mondo sia ormai decifrabile, con la conseguente possibile modifica da parte dei tedeschi del loro modo di comunicare rendendo vano il lavoro di anni, o mantenere il segreto cercando, attraverso la statistica, di scegliere le informazioni da usare e, quindi, quali attacchi evitare?
Attribuirsi il potere di scegliere chi muore e chi sopravvive, una crudeltà e un peso che poche persone devono sopportare per poterne salvare milioni?
Tutto questo però non basta. Non si possono salvare milioni di vite, non si può dedicare tutta la propria vita al bene degli altri: se si è omosessuale, nell'Inghilterra degli anni '40 e '50 il bene che tu potevi aver fatto non contava nulla. Il crimine per cui si doveva pagare era il provare amore verso una persona del proprio stesso sesso.
Chissà quante volte hanno colpito questa ignoranza e cattiveria..
Chissà quanti che hanno condotto una vita al servizio degli altri e del proprio Paese si sono visti voltare le spalle o hanno dovuto soffrire per tutta la loro vita cercando d nascondere quello che provavano davvero?!
Mi vergogno per quelle persone che hanno reso questo possibile, che hanno fatto prevalere questa stupidità per così tanto tempo. Sono, però, contenta che ci siano film come questo con i quali veniamo a conoscenza di personaggi che non sapevamo di dover ringraziare.
L'interpretazione di Benedict Cumberbatch è stata tra l'altro formidabile, mentre non capisco sinceramente la nomination di Keira Knightley all'Oscar: lei mi piace molto, ma non penso abbia recitato la sua parte in modo così intenso da meritare la statuetta dell'Academy.
Finalmente, ad ogni modo, ora il nome di Alan Turing verrà valorizzato, anche se a distanza di così tanto tempo.
La nostra società ha fatto diversi passi in avanti, anche se ha ancora tanto da imparare.
Ma forse un giorno, se andremo avanti con tenacia, arriveremo ad abitare un mondo in cui conterà davvero solo quello che fai e non il tuo cognome, di che colore è la tua pelle, a quale partito politico appartieni, il tuo orientamento sessuale o a che religione appartieni.


domenica 11 gennaio 2015

Gone girl

Ci sono alcuni film che non ti fanno sentire il tempo che passa anche se durano più di due ore, che ti lasciano abbastanza sconvolta da ripensare ad alcune scene anche dopo giorni.. beh, "Gone girl" è uno di questi. Sicuramente è uno dei thriller che mi ha spiazzata di più negli ultimi tempi.
Pieno di suspense fino alla fine, lo spettatore assiste a un vero e proprio massacro del matrimonio e della fiducia nel prossimo, così come assiste al purtroppo veritiero contributo dei media nel romanzare le storie di cronaca nera.
Una bella notizia fa sorridere e tirare un sospiro di sollievo, ma le brutte notizie vendono copie e l'informazione, quella cattiva, sembra focalizzarsi solo sui titoli che sembrano più "cool".
Diventano star persone che hanno compiuto i delitti più crudeli, diventano insegnanti nelle scuole uomini che invece devono ancora imparare cosa significa essere responsabili. 
Attraverso i media possiamo dirottare ciò che pensa la gente di noi, e il pubblico assiste a veri e propri show, pensati, scritti e diretti.
La verità è qualcosa di sempre più astratto che a volte sembra interessare meno della partecipazione a qualche talk show o di un'intervista per un giornale.
Non voglio però vedere tutto così negativo e, quindi, voglio cercare di pensare che non sia tutto così cupo come ciò che si vede in questo film.
Mi piace pensare che non tutto si può nascondere, che la verità è importante e che non a tutti piace essere trattati come stupidi burattini senza idee proprie.
"Gone girl" rimane comunque un ottimo spunto di riflessione, anche per domandarsi come mai Ben Affleck continui a recitare.