mercoledì 14 agosto 2013

Hunger Games

Ho appena finito di vedere "Hunger Games", stanno ancora scorrendo i titoli di coda, ma ho già la penna in mano perché questo è stato uno di quei film alla cui visione ha partecipato tutto il mio corpo. Non sono stata solo attratta e affascinata dagli attori: il mio cuore rallentava o accelerava a seconda dei colpi di scena, la mia mente lavorava di continuo chiedendosi se i personaggi stavano fingendo o no in quel determinato momento, i miei occhi guardavano attorno a Jennifer Lawrence (che mi è piaciuta più in questo film che in "Il lato positivo") per aiutarla a rimanere in vita in quel mondo finto, assurdo e violento che G. Ross ha creato al cinema per noi. Una storia allucinante che mi ha lasciata un po' scioccata, come solo "Live!" aveva saputo fare (un altro film che non ha fatto rumore ma che mi aveva sconvolta e che tuttora mi fa pensare). 
Gli Hunger Games nascono in seguito alla rivolta di tredici distretti verso il loro Paese. Ogni anno ciascun distretto, come punizione per aver scatenato questa rivolta, deve offrire due tributi, un ragazzo e una ragazza tra i dodici e i diciotto anni, come partecipanti a questi giochi della morte. Il vincitore è colui o colei che riesce a sopravvivere a tutti gli altri dopo due in un'arena ideata e controllata dai creatori di questi giochi e in cui può succedere qualsiasi cosa, in cui non si è mai al sicuro ma si è tutti contro tutti. Dalla regia si controllano le mosse dei giocatori, si prova a salvarli o a ucciderli e intanto il mondo li acclama e gli spettatori seguono l'avventura in televisione. Stanley Tucci è il bravissimo attore che interpreta il presentatore di questo macabro "Grande fratello" il cui mondo è ridicolizzato nel colore degli abiti e dei capelli, per non parlare del trucco. 
Il mondo in Hunger Games è diviso in settori e distretti così come, anche se non fisicamente visibili, esistono le nostre "caste": ci sono i lavoratori e gli approfittatori, i poveri e i ricchi. Chi ci rimette e rischia la vita sono, ovviamente, quelli che hanno meno mezzi e che, nella pellicola, sembrano essere gli unici ad avere le sembianze di esseri umani e non di caricature.
Il film mi ricorda altre cose tutte insieme: la differenza tra paesi ricchi e quelli del Terzo Mondo; i media nel modo di trattare la gente  come burattini; la spettacolarizzazione di ogni cosa: il dolore, la paura, la tragedia, la bontà, la cattiveria, l'amore. 
Mi ricorda la perdita del controllo della propria vita e della libertà per ordine di qualcuno che ha deciso per te che cosa è bene per il mondo ed è pronto a fare a meno di te pur di andare avanti. La polizia che porta i giocatori alla gara, o che interviene durante i disordini, mi ricorda le SS.
E ora di nuovo quella sensazione di disagio mista a stupore e tristezza quando mi sono ritrovata a pensare "spero che vinca lei", perché significa che in quel momento mi stavo augurando la morte degli altri, che stavo pensando alla sopravvivenza di uno solo. 
Cosa stiamo diventando? Questa è ancora finzione ma noi queste cose già le facciamo nel mondo reale. La cattiveria degli uomini non è finzione, creiamo anche noi delle bestie pronte a ucciderci, non ci fermiamo davanti ai soldi, vogliamo sempre di più, vogliamo apparire ad ogni costo, non importa a discapito di chi. E per farlo, per sopravvivere, dobbiamo essere pronti a mettere in scena il nostro personaggio, fare sorrisi finti e affrontare la vita di tutti i giorni come se fossimo davvero in una giungla e dovessimo sempre guardarci alle spalle perché chiunque è pronto a ferirci. 
Tutti noi partecipiamo ogni giorno agli Hunger Games.. quindi forse è proprio il caso di dirlo: "Possa la fortuna sempre essere a vostro favore!".